Seguiamo le impostazioni di Mazzini e Ugo La Malfa/I repubblicani e la loro collocazione in Europa

Lavorare per costruire il polo liberaldemocratico

Relazione dell’on. Francesco Nucara al Consiglio Nazionale del Pri, Roma, 28-29 gennaio.

Cari amici, oggi avremmo dovuto tenere il nostro 46° Congresso Nazionale. Purtroppo circostanze, a mio avviso molto positive, ci hanno indotto a rinviare ancora una volta la nostra Assise.

Certamente la prima responsabilità attiene a chi ha la guida del Partito. Tuttavia è necessario ricordare alcune cose.

Il Congresso a tesi voluto dall’amico Collura e da me sostenuto è il risultato di una decisione unanime della Direzione Nazionale con un solo componente che, pur avendo votato a favore, ha chiesto successivamente di mettere a verbale che lo stesso non aveva partecipato al voto.

Naturalmente, come ci suggerisce un ragionamento elementare, dopo che si è votato non è consentito tornare indietro.

Vista la provenienza della richiesta da parte di chi ha avuto responsabilità più che decennale nel PRI, a scanso di polemiche è stato verbalizzato quanto richiesto.

La stesura finale delle tesi è stata consegnata alla segreteria l’8 novembre 2010. La data del Congresso fu stabilita dalla Direzione per i giorni 10-11-12 dicembre. La novità di quei giorni, la sfiducia al governo, chiesta dalle forze politiche di opposizione, ci ha consigliato di rinviare il Congresso, sempre con voto unanime della Direzione Nazionale. Avremmo svolto un Congresso senza alcun rilievo politico e mediatico, poiché sulla mozione finale inevitabilmente avremmo dovuto scrivere se dare o meno la fiducia al governo.

Il problema, già di per sé molto complicato e complesso, veniva aggravato dalla firma alla mozione di sfiducia anche dell’altro deputato "repubblicano", che si era ben guardato di informare la segreteria nazionale, che peraltro aveva convocato la Direzione Nazionale per il 10 dicembre proprio per affrontare quest’argomento.

In quella data, ancora una volta, c’è stata un’assenza significativa di chi pretenderebbe di essere lui il PRI e non voi.

L’ultimo rinvio del Congresso non è dovuto a fatti politici esterni al mondo repubblicano. E’ dovuto alla fine della diaspora repubblicana con la fine del "tripartito" repubblicano MRE, Repubblicani Democratici e PRI, che hanno deciso di unirsi alla famiglia repubblicana sotto il simbolo dell’edera.

A me pare che abbiamo posto la parola fine a due anni di lavoro intenso per risolvere questo problema di cui do ampiamente atto agli amici Collura, Del Pennino, Gambi, Santoro, Tartaglia, Valbonesi e chiedo scusa se dimentico qualcuno. Mi era stato detto e consigliato di evitare la fine della diaspora perché "qualcuno" voleva il posto di segretario.

Siccome il sottoscritto non ha ereditato nulla ma acquisito la benevolenza e il sostegno della maggioranza dei repubblicani, mi è stato facile rispondere: "Se c’è uno più bravo di me sarà bene che lo faccia lui il segretario. Perché no?"

Per fortuna di tutti noi in politica non ci sono esecutori testamentari e se testamenti ci dovessero essere sarebbero solo politici, morali e ideali.

Non mi resta che ringraziare tutti coloro, maggioranza e minoranza, che hanno contribuito a tenere in vita un partito che già nel 1994 veniva considerato da chi guidava il PDS "un cadavere da non resuscitare".

Non è dato sapere delle virtù miracolose di questo personaggio. Il dubbio è laico. Contrariamente a chi mi ha preceduto in questo ruolo che oggi svolgo, non ho mai tenuto conto solo delle mani che si alzavano in Direzione o in Consiglio Nazionale o nei Congressi. Ho spesso tenuto conto delle teste.

Talvolta solo delle teste che suggerivano ipotesi e consigliavano soluzioni, tal’atra considerando un mix tra quella che è considerata la base del partito e il gruppo dirigente.

Se avessi tenuto conto solo delle mani che si alzavano o delle critiche personali, pur sempre politiche, mi sarei trovato "padrone" di un partito che forse non aveva ragione di essere più.

Sul partito ci ritorneremo in seguito, affrontiamo ora i temi politici.

In risposta ad Eugenio Scalfari in una dura polemica sulla moralità dell’allora editore de "Il Giornale" e dell’editore de "La Repubblica", Indro Montanelli nel contesto di un articolo citava Renard, il quale sosteneva: "Conosco molti furfanti che non fanno i moralisti, ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante".

Orbene ci siamo svegliati una mattina e abbiamo scoperto tutte le malefatte possibili e immaginabili, magari senza reati, del Presidente del Consiglio.

Giudizi severi anche da chi ha già ottenuto con merito sentenze di condanna passate in giudicato per corruzione o finanziamenti illeciti di partito.

Perdonare è giusto, dimenticare è da ciechi.

Certamente non siamo più al tempo in cui dal PRI veniva espulso chi veniva trovato a ricercare servigi sessuali da qualche signorina di via Veneto.

E’ il caso però di ricordare il telegramma che Oronzo Reale inviò a Cino Macrelli quando quest’ultimo assunse l’incarico di Ministro della Marina Mercantile. Questo telegramma recitava più o meno così: "Cino attento che le navi le poppe le hanno dietro".

Personalmente non apprezzo affatto le vicende che coinvolgono il premier nelle attuali cronache, io vivo una vita sobria e sempre sotto tono.

Non penso che il Presidente del Consiglio faccia altrettanto, ma non mi interessa affatto guardare dal buco della serratura per sapere cosa si fa in casa d’altri.

Mi interessa il ruolo politico ed in questo senso ci sono luci ed ombre nell’attività del governo.

Molto troverete nelle tesi elaborate dagli amici, che ringrazio sentitamente per l’oneroso lavoro svolto, e per cui tutti i repubblicani dovrebbero essere grati. Anche coloro che pure non parteciperanno al voto hanno chiesto di allargare ai diritti civili la tesi dell’amico Del Pennino.

Ancora non riesco a capire il contrasto per un congresso a tesi.

Siamo il partito dei contenuti ma se si intende parlare di contenuti ci si risponde che il problema è politico.

Come se la politica fosse una cosa astratta tra filosofia e misticismo.

Noi invece vorremmo coniugare utopia e pragmatismo. Forse è un’utopia anche questa.

Secondo Marco Follini, che io considero un politico-pensatore, il problema di questo Paese è semplicemente questo: se Berlusconi si cimenta con gli avversari continuerà a vincere le elezioni, se si dovesse cimentare con i problemi è destinato a perdere.

E noi con le tesi ci vogliamo cimentare con i problemi del Paese.

Questo anti-berlusconismo d’accatto non ha nessuna ragione d’essere.

Chi se ne frega se si tinge i capelli, o si mette la bandana, o scrive canzoni.

Ci si dice che il problema di Berlusconi è che la Lega in questo governo ha la golden-share ma si accetterebbe volentieri una guida Tremonti. Non servirebbe ad altro che a rafforzare la Lega.

A meno che "qualcuno" non pensi che con un nuovo governo si potrà ricoprire il ruolo di ministro.

Magari è la stessa persona che nel 2006 in una dichiarazione a "La Stampa", essendo allora ministro della Repubblica, definì Tremonti vice-presidente del Consiglio: "un cretino o un uomo di malaffare", ma allora il problema non era politico bensì bancario.

Per quanto ci riguarda noi siamo con il Polo Repubblicano. Alleati con chi? Con chi darà un minimo di garanzie sull’indipendenza dei repubblicani e sulla laicità dello Stato. Qualcuno dice che dovremmo partecipare al terzo polo e allearci con il Pd.

Ascoltate: "L’Europa ha bisogno della Chiesa. L’Italia ancora di più. Altro che chiedere alla Chiesa e al mondo cattolico di non ingerirsi.

Io vorrei dire invece: ‘Ingeritevi! Se non ora quando?’ Questo Paese ha avuto dal contributo dei cattolici un apporto straordinario alla costruzione della democrazia.

E sono convinto che sia possibile trovare sul piano ecclesiale un equilibrio tra pluralismo delle scelte politiche e l’unità dei cattolici". (Formiche 12/2010 pag. 20-21)

Chi ha detto tutto ciò?

Casini, no! La Binetti, no! Enzo Carra, no! Fioroni, no! L’ha detto Massimo D’Alema, quello che non si prestava nel 1994 a resuscitare il cadavere del Pri. Forse oggi potrebbe riuscire nel miracolo! Avanti c’è posto. Ci sono quelli che le energie le hanno conservate, invece di spenderle per il proprio partito, e possono continuare a impegnarsi magari senza il Partito Repubblicano, come è stato affermato il 1° aprile del 2007 nell’ultimo congresso.

Allora qual è il tema, l’autonomia del Partito o dal partito?

Abbiamo sentito parole trite e ritrite: "Ci si difende nel processo non dal processo".

Chi vuole spendere qualche energia per il Partito Repubblicano Italiano lo faccia dentro il partito, se intende farlo fuori da esso si accomodi fuori, ma non si dichiari repubblicano e soprattutto eviti di prendersi qualche applauso gridando "Viva il Partito Repubblicano Italiano".

Noi consideriamo repubblicano chi si batte nel partito e per il partito. In quest’ambito c’è spazio anche per le ambizioni personali, fuori da quest’ambito ci sarà un inglorioso declino della propria vita politica.

Ho già detto in Direzione che nel periodo antecedente la fatidica data del 14 dicembre, ho incontrato per ragioni di politica tutti i leader politici: Rutelli, Casini, Berlusconi, Pannella. Ho cercato più volte Bersani ma evidentemente non ho avuto fortuna: non mi ha mai richiamato. Capirete da soli che non ho cercato Di Pietro.

Noi continueremo a batterci per la costituzione di un polo liberaldemocratico secondo le impostazioni di Mazzini e le interpretazioni di Ugo La Malfa.

Ricordando che quest’ultimo è stato l’artefice della fondazione liberaldemocratica europea nel 1976 con l’ELDR.

Ci consideriamo e ci pavoneggiamo di essere gli antesignani dell’Unione europea.

In Europa, però, ci sono tre famiglie politiche: i Popolari, i Socialisti e i Liberaldemocratici.

Un repubblicano europeista deve ben sapere dove sarà la sua collocazione politica in Europa e dovrà battersi perché questo disegno si realizzi in Italia.

Qualcuno mi spieghi che senso politico può avere un’ammucchiata che va da Bersani a Casini passando per Di Pietro e Fini e Rutelli.

Se non si ha la bussola politica si è costretti a inseguire il "posto".

Forse anche gli pseudo-repubblicani hanno smarrito la loro bussola politica. Noi nel bene e nel male quella bussola che abbiamo ereditato la riteniamo ancora valida.

Chi ne ha voglia, studi più che leggere, ciò che hanno detto i nostri padri costituenti.

Si capiranno i rapporti tra Stato e Chiesa, il federalismo, la giustizia, i problemi economico-sociali del Paese. Si capirà di quanti errori è lastricata la via repubblicana di questi ultimi venti anni.

Se non si ha la bussola politica si è costretti a inseguire "il posto". Ermanno Olmi ci potrebbe fare un remake politico del vecchio film "Il posto".

E’ proprio l’assenza di orientamento politico che ci ha portato a cambiare posizione ogni tre-quattro anni: 1994 - abbandoniamo il centro-sinistra per andare con Segni e Martnazzoli, 1996 - andiamo con l’Ulivo, 2001 - andiamo con la Casa delle Libertà, 2006 - altro problema "dobbiamo andare con Prodi", 2008 - "dobbiamo scioglierci nel PDL", 2010 - "dobbiamo andare nel Terzo Polo". Al di là del merito, è credibile tutto ciò? Siamo spendibili sul mercato della politica italiana? Vedremo al Congresso. Il Consiglio Nazionale fissi la data e quella sarà. Costi quel che deve costare.

Le mie energie le ho esaurite, lascio il campo a chi ne ha da spendere per il Partito, non per se stesso. Non mi interessa il futuro personale di nessuno e nemmeno il mio, mi interessano le sorti del Partito Repubblicano Italiano e per esso posso spendere le mie residue energie.

Girano pettegolezzi nel gruppo dirigente del Pri atti ad alimentare ulteriori divisioni. Qualcuno ha detto che io avrei in odio gli intellettuali. A parte che se si è intelligenti e responsabili si dovrebbe evitare di spargere sale su lacerazioni, su questa battuta esplicito ora e subito il mio pensiero.

Non mi sento un uomo di cultura, forse un artigiano della politica. Tuttavia il problema nasce se un intellettuale, che tale è e io considero, pensa che basti il sapere per comandare. Il sapere è un ausilio importante ma non basta per incidere sulla politica nazionale e locale. Al sapere si deve coniugare l’azione. In questo periodo storico del nostro Paese, se pensassimo solo al sapere e alla cultura non riusciremmo a capire il successo della Lega.

Se qualcuno si è sentito offeso, gli chiedo scusa per una battuta che da scherzosa si è voluta interpretare come infelice. Mettiamoci a lavorare seriamente senza inutili diatribe.

Ritorniamo al Partito.

Nel suo bel libro "Modelli di Partito", Angelo Panebianco a pag. 487 cita Kirchheimer che sostiene: "E’ possibile che questa limitata partecipazione, che il partito pigliatutto offre alla popolazione in generale, che questo appello a una popolazione razionale e disinteressata al processo politico attraverso canali ufficialmente riconosciuti possa funzionare? Lo strumento, il partito pigliatutto, non può essere molto più razionale del suo nominale padrone, il singolo elettore. Non più soggetti alla disciplina del partito di integrazione – o, come negli Stati Uniti mai soggetti a questa disciplina – gli elettori possono con i loro mutevoli timori e con la loro apatia, trasformare il sensibile strumento del partito pigliatutto in qualcosa di troppo vago per servire da collegamento con i detentori funzionali del potere della società. Possiamo così arrivare a rimpiangere la scomparsa, per quanto inevitabile, del partito di massa classista e del partito confessionale, così come rimpiangiamo la scomparsa di altri elementi caratteristici delle vecchia società occidentale".

C’è allo stato l’assoluta mancanza della funzione dei partiti. Un processo di emarginazione, figlio di una politica senza alcuna regola e senza alcun rispetto per la democrazia, ha portato ad una paradossale situazione in cui la democrazia si vede e non si vede. Si vede per qualche secondo, quando ti danno una matita per mettere una croce su un simbolo e scompare per gli anni a venire: fino a quando non ti chiameranno per mettere un’altra croce sullo stesso o un altro simbolo, e infine per terminare con una croce, stavolta di marmo, sul processo democratico del nostro Paese.

Naturalmente ci sono i sacerdoti, anche nel nostro Partito, dell’inviolabilità delle norme costituzionali. Sull’argomento che stiamo svolgendo l’art. 49 della Costituzione così recita: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".

Una bella frase enfatica ma senza alcun costrutto, se la politica attuale ha bisogno di una tal massa finanziaria per svolgere la propagazione delle proprie idee, che risulta impossibile pensare a nuove formazioni politiche soprattutto "liberamente", quest’ultima parola andrebbe proprio cancellata subito dall’ormai più che obsoleto art. 49 di cui stiamo parlando.

E se l’art. 49 vale, cari amici repubblicani, allora necessita di una regolamentazione del "sistema-partiti" proprio per far sì che all’interno dei partiti ci possa essere un processo democratico che consenta il "concorrere" alla politica nazionale. In proposito, abbiamo ripreso un disegno di legge Del Pennino-Compagna e lo abbiamo riproposto alla Camera dei Deputati. E’ superfluo pensare che questo progetto di legge non avrà l’appoggio del primo Polo, né del secondo, né del terzo e del quarto, ecc., ecc.

Quale senso democratico hanno questi partiti che sul loro simbolo invece di esprimere graficamente un’idea politica esprimono un nome? E se questo nome cambiasse partito o si volesse ritirare dalla politica? (No! Questo nel nostro Paese avviene con la morte fisica o politica che sia). Anche il nostro piccolo partito è stato sfiorato da questa "tragedia", ma qualcuno testardamente l’ha evitata.

Ma veniamo a chiarire bene gli eventi dell’ultimo travagliato periodo.

Abbiamo rinviato il Congresso per motivi logistici e per motivi organizzativi e comunque, teniamo a ribadire, sempre con voto unanime della Direzione Nazionale a ciò delegata dal Consiglio Nazionale.

Vedete cari amici, io per mia formazione politica dopo 43, quasi 44 anni, di militanza nel Partito Repubblicano Italiano ho portato sempre il massimo rispetto agli organismi di partito, sia sulla base dei numeri che si aggregavano su una proposta, sia sulla base delle idee con pochi numeri che su quelle proposte avevano qualcosa da affermare o suggerire.

Come si suol dire, sono un uomo o un vecchio - e non mi consola il fatto che altri, così speranzosi sul loro futuro siano più vecchi di me.

Sono gli stessi che nel 2007 fecero fuoco e fiamme perché quel Congresso non si celebrasse: anche in quell’occasione i tre anni previsti dallo Statuto per il rinnovo degli organi erano scaduti.

E poi, pur sapendo che questa mia affermazione non è gradita a molti repubblicani, se si giunge ad un accordo politico lo si mantiene – salvo stravolgimenti che interessano le sorti del Paese e non dei singoli.

Potrei dire tuttavia che questo è il pensiero repubblicano.

Ci fu un segretario prima di me che al Congresso di Bari, quando fummo di fatto lacerati da un’improvvisata svolta politica, di cui il sottoscritto era compartecipe ma non guida, il quale sostenne che gli accordi politici presi con gli alleati si rispettano fino alla fine della legislatura e solo un altro Congresso può sciogliere quegli accordi.

Noi possiamo essere anche persuasi – pur se bisogna stare sempre attenti al gatto dalle sette vite – che questo centro-destra all’indomani della rottura di Fini sia destinato ad esaurire il suo ciclo, ma dobbiamo porci il problema di quale alternativa sia possibile costituire per evitare che il declino del centro-destra coincida con il declino del Paese.

Sarà il contrario? Vedremo. Altre occasioni ci hanno dato torto.

Questo non significa che noi non potremmo avere il desiderio di cambiare registro, in quanto riteniamo insoddisfacente il bilancio del governo su alcune situazioni che abbiamo abbondantemente illustrato nelle nostre tesi programmatiche.

Significa invece che nell’ambito di un processo politico attualmente magmatico, è necessaria la prudenza per evitare scivoloni disastrosi per un piccolo partito come il nostro.

Come mi ha detto Casini: "Hai un simulacro di partito, ma pur sempre un partito".

Nello scenario italiano abbiamo una politica alla Fregoli dove basta cambiare vestito, o nel caso simbolo, per promuovere un diverso orizzonte politico e una classe politica nuova formatasi sull’improvvisazione.

Noi non siamo stati nella Casa delle Libertà, né nel Polo della Libertà, né nel Popolo della Libertà.

Ma chi è stato sempre e comunque alleato di Berlusconi dal 1994 ad oggi avrà i titoli per indicare a noi repubblicani la strada da percorrere?

Se il problema fosse Berlusconi basterebbe cambiare il premier, ma a questo ci penseranno i magistrati.

Si parla di Terzo Polo, eppure all’interno di questa aggregazione politica ci sono leader che ancora oggi si dichiarano convinti bipolaristi.

Prima di parlare di Poli avremmo bisogno di definire progetti, programmi, strutture, ecc., altrimenti si corre il rischio che alla prima diatriba politica, per esempio sulla laicità, o alla negazione per una candidatura in Parlamento, tutto si sgonfia e i grandi progetti di cambiamento si squagliano come neve al sole.

Vi ho detto prima della mia lunghissima militanza nel PRI.

Ne ho vista passare di acqua sotto i ponti. I ponti servono per comunicare da una sponda all’altra. Qualcuno, pensando che in politica tutto rimane immutato, questi ponti ha preferito tagliarli, farli cadere accompagnando il PRI verso il discredito e l’isolamento. Al sottoscritto non interessa affatto il "credito" dei singoli che è semplicemente affar loro, come l’isolamento e il discredito è affare del Partito che si deve difendere con forza da attacchi interni ed esterni.

Sono correo di questa situazione? Possibile. Ma si può essere correi per aver lasciato la macchina in doppia fila oppure di un assassinio.

E il sottoscritto a giugno del 2006 ha deciso con sofferenza, ma con determinazione, di porre fine ad una amicizia politica durata 40 anni, che ahimè è stata scambiata per sudditanza.

Non sono e non sarò mai correo dell’assassinio del Partito Repubblicano Italiano. Qualcuno nel passato ha pensato di imitare Berlusconi con il proprio nome sulla lista repubblicana. Non fu reso possibile e il nostro simbolo è ancora "L’Edera" dal 1834 in Berna.

Si dice, su "La Voce Repubblicana", che la linea del partito "è incerta e ondivaga". Il dubbio è laico e chi ha certezza assoluta mi spaventa.

A mio avviso i problemi sono complessi ed è a questi ultimi che dobbiamo guardare per sbrogliare una matassa assai ingarbugliata. Si scrive, sempre sullo stesso articolo, che il gruppo dirigente è diviso e logorato: a volte i supponenti non sanno valutare la pazienza e la buona e santa educazione, magari ricevuta anche con qualche ceffone, che a loro è stato risparmiato.

C’è chi pensa, come nel 2006, che bisogna ringiovanire il gruppo dirigente del PRI.

La stessa persona oggi ha trovato una nuova giovinezza con cui cimentarsi quasi da neonato … e di ciò siamo lieti per lui.

Il sottoscritto Francesco Nucara non è un uomo per tutte le stagioni. Mi basterebbe concludere dignitosamente e se mi sono impegnato a rappresentare il Partito, intendo farlo sul mandato che il Partito mi ha affidato. Questo mandato è stato dato all’interno di questa coalizione e mi sono posto il problema di onorarlo con dignità senza mai cedere a compromessi o a miserabili prebende, che ho lasciato ad altri personaggi repubblicani.

Il Partito si può concepire in tanti modi, ma se ciascuno si sente autorizzato a muoversi come ritiene opportuno a seconda delle circostanze e indipendentemente dallo stesso, questo non è più un Partito ma un albergo ad ore.

E anche questo lo disse nel ‘94 il mio predecessore.

Roma, 28 gennaio 2011